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Il fluoro, aggiunto con i dosaggi prescritti nella dieta della mamma
in gravidanza e poi nella dieta del neonato e del bambino, irrobustisce
lo smalto dei denti, che diventano più resistenti all’attacco dei
batteri della carie.
Ricerche universitarie quarantennali hanno
provato l’innocuità del fluoro – nei dosaggi codificati – per gli altri
organi del corpo, mentre hanno dimostrato statisticamente l’efficacia
preventiva della carie.
Se non ci sono ragioni particolari, se il bambino non si lamenta per
il mal di denti, se i genitori non notano irregolarità nella crescita
dei denti da latte o colorazioni strane dei denti stessi – tenuto conto
del grado di collaborazione del bambino nei confronti dei medici e degli
aspetti psicologici e di possibile stress che la visita può comportare
-, l’età consigliabile per una prima visita varia dai due anni/due anni
e mezzo (età di completamento della dentatura da latte) ai
quattro/cinque anni (periodo che precede la caduta dei denti da latte e
la permuta con quelli permanenti).
Se nella famiglia dei genitori ci
sono patologie dentarie importanti e/o malformazioni evidenti,
considerata la probabilità di trasmissione ereditaria, può essere
opportuna, con le dovute cautele, una visita più precoce.
Con uno spazzolino adeguato (di media durezza e con setole artificiali) e con poco dentifricio (l’azione pulente è quella meccanica con lo spazzolino, mentre il dentifricio ha una blanda azione emolliente e “scivolante”), stando in posizione eretta, possibilmente davanti a un lavandino (poi servirà l’acqua per sciacquarsi) e davanti a uno specchio (per controllare le manovre), si deve tenere il braccio in posizione orizzontale e con un movimento di rotazione dell’avambraccio, muovere lo spazzolino con una rotazione alto-basso per l’arcata superiore e basso-alto per l’arcata inferiore.
Con le setole appoggiate sulla gengiva, bisogna eseguire la rotazione con trascinamento delle setole dalla gengiva verso il dente (alcuni dentisti dicono dal rosso al bianco), ripetendo l’operazione su ogni dente o gruppo di denti.
Lo stesso movimento deve essere ripetuto anche sulle superfici
interne (dal lato del palato e della lingua), sia sui denti davanti
(incisivi e canini) sia sui denti laterali (premolari e molari).
La
parte masticante (occlusale) deve essere pulita sia con movimenti avanti
e indietro sia con movimenti rotatori orizzontali, in modo da pulire
bene i solchi occlusali presenti tra le cuspidi (le punte masticanti)
dei denti.
Queste manovre, per essere ben eseguite ed efficaci, richiedono dai due ai quattro minuti. Solo con l’esperienza si riesce a fare una buona pulizia in soli due minuti.
In verità, bisogna dire che la descrizione scritta dei movimenti per pulire i denti appare più complicata e farraginosa di quanto sia nella realtà.
Il Vostro dentista saprà spiegarlo in modo molto più semplice con una
prova pratica.
Queste manovre devono essere eseguite nel modo più
efficace per pulire al meglio le cinque superfici di ogni dente e tutte
le superfici accessibili delle gengive.
Questa detersione dovrebbe essere eseguita dopo ogni pasto o almeno
mattina e sera.
Soprattutto la sera, prima di coricarsi, è importante
effettuare la migliore detersione possibile.
Di notte l’azione di autodetersione della lingua e della saliva si riduce di molto ed i batteri hanno più tempo e più modo per moltiplicarsi e per aggredire lo smalto dei denti.
Durante lo spazzolamento dei denti è bene effettuare molti sciacqui energici con acqua non fredda e con un collutorio, per allontanare i detriti e gli ammassi di batteri rimossi.
Il filo interdentale va inserito delicatamente fra dente e dente, passando dal punto di contatto tra i due denti. Successivamente deve essere posizionato nel solco tra la gengiva (la papilla interdentale) e la superficie del dente da pulire, poi teso in modo da contornare il dente da pulire, quindi lo si deve muovere in su e in giù (senza farlo scorrere avanti e indietro), in modo da detergere la superficie interdentale del dente trattato.
Poi lo si estrae ripassando dal punto di contatto o facendolo scorrere delicatamente. Poi lo si inserisce nuovamente nello stesso spazio e si abbraccia la superficie del dente accanto. Questa operazione deve essere ripetuta su ogni superficie interdentale.
Il filo interdentale è monouso e una volta usato va eliminato.
Un tipo particolare di filo interdentale è il Superfloss, un filo
dotato di una estremità leggermente irrigidita, di un tratto spugnoso e
di un segmento più lungo di filo tradizionale.
Il suo uso è indicato
sia con protesi fisse sia con denti naturali.
Lo scovolino interprossimale è uno spazzolino di piccole dimensioni
con forma cilindrica o conica.
Il suo scopo è pulire lo spazio
interdentale delle strutture protesiche o tra i denti naturali quando lo
spazio lo consente o quando le lesioni da parodontopatia hanno lasciato
spazi notevoli fra i denti stessi.
I Collutori sono liquidi a base di acqua, con aggiunta di sostanze
medicamentose.
Per lo più si tratta di soluzioni alcoliche con
addizionati fluoro, sostanze aromatiche o disinfettanti.
Questi sono i collutori più frequentemente usati dopo spazzolino e
filo.
Altri collutori contengono farmaci antinfiammatori per uso in
caso di infiammazione in bocca o dopo piccoli interventi chirurgici.
Alcuni collutori contengono antibatterici come la clorexidina (molto efficace) e sono indicati per pazienti con molta placca o con malattie paradontali o dopo interventi chirurgici.
Possono essere usati solo per periodi relativamente brevi di 7-15 giorni, in quanto danno due effetti collaterali lievi e reversibili, ma che possono essere sgraditi, l’alterazione del sapore dei cibi e una colorazione giallo-brunastra di denti e gengive. Ulteriori consigli su come lavare i denti li puoi trovare su questa pagina.
La sensibilità dei denti deve venire trattata in relazione alla causa
che la scatena ed alle condizioni del dente sensibile.
Per esempio,
un dente sensibile al freddo per una carie iniziale o per un’erosione
dello smalto, deve essere otturato o ricostruito con opportuni isolanti
che ostacolino la trasmissione termica.
In alcuni casi è sufficiente l’applicazione di vernici protettive.
In altri, quando la sensibilità è persistente e molesta, bisogna
devitalizzare il dente.
Dipende dallo stato della propria dentatura.
In caso di un adulto con una dentatura normalmente sana e in assenza di disturbi, è sufficiente una visita di controllo ogni sei mesi, che – spesso accompagnata da una seduta di ablazione tartaro o detartrasi (banalmente definita pulizia dei denti, ma che, se ben eseguita, rappresenta una terapia vera e propria) – risolve la situazione e consente di preservare la propria dentatura indenne da problemi per anni.
Se invece sono presenti segni di periodontite (un tempo definita piorrea), se ci sono ponti e corone, se l’igiene orale domiciliare risulta difficile o insufficiente, se sono già stati eseguiti interventi parodontali, può essere indicato un controllo anche ogni 2/3 mesi.
La placca batterica è un miscuglio, molto adesivo sui denti e anche sulle mucose, di microrganismi (soprattutto batteri, ma possono anche esserci virus e funghi), che peraltro sono usualmente normali abitatori della nostra bocca, i quali, in certe condizioni favorevoli (favorevoli per i batteri, ma non per noi) – tra cui la cattiva igiene orale – si moltiplicano e si aggregano, con la partecipazione di sostanze secrete con la nostra saliva (mucopolisaccaridi e sali di calcio e magnesio), si incollano a strati sui denti, sulle gengive e sulle mucose, diventano aggressivi per i tessuti sottostanti e iniziano a produrre lesioni dello smalto, della gengiva, dell’osso, che possono diventare molto gravi per i tessuti colpiti.
La carie è un processo di distruzione dello smalto dei denti che inizia a formarsi quando i batteri, che si nutrono dei residui alimentari non rimossi (soprattutto se ricchi di zucchero) iniziano, nel volgere di pochi minuti, delle trasformazioni chimiche che comportano la formazione di sostanze, tra cui l’acido lattico, che provocano la demineralizzazione e la decalcificazione dello smalto, che inizia a sfaldarsi e a disgregarsi, con formazione, prima, di micro cavità, e poi di cavità cariose sempre più grandi, fino a quando il dente non diventa sensibile e/o dolente al caldo e al freddo o nella masticazione.
La gengivite è l’infiammazione e l’infezione della gengiva e costituisce il primo stadio di quel processo che, se non intercettato e curato, porta alla parodontite.
La parodontite o “piorrea” è una patologia che coinvolge i tessuti che sostengono i denti (legamento parodontale, gengiva e osso), provocandone la progressiva distruzione e riassorbimento.
[Nota: il termine “piorrea” è stato sostituito dai dentisti, da molti anni, dal termine, più appropriato, di “parodontite” o “periodontite”, che significa – letteralmente - “infiammazione del parodonto”, cioè infiammazione (e infezione con batteri) della gengiva, dell’osso, del legamento parodontale. Il termine “piorrea”, in realtà, indicava solamente un sintomo della malattia, e cioè la fuoriuscita di pus dal sito dell’infezione.]
Qualora non trattata adeguatamente, la malattia parodontale può portare a conseguenze gravi, in altre parole all’instabilità e alla perdita degli elementi dentali stessi.
Placca batterica, fumo, malocclusioni congenite o acquisite,
predisposizione genetica, sono le principali cause della piorrea.
Individuare tempestivamente la malattia parodontale è fondamentale per
impostare una terapia efficace.
Sintomi quali sanguinamento dalle gengive, gonfiori alternanti o tumefazioni gengivali, frequenti gengiviti, possono essere spie indicative di problemi parodontali, da segnalare al dentista.
Tuttavia la malattia parodontale può presentare altrettanto frequentemente un decorso asintomatico, subdolo, diagnosticabile soltanto per mezzo di un controllo radiologico e clinico, associato a un sondaggio parodontale, allo scopo di verificare lo stato osseo e gengivale del paziente.
Nelle forme più lievi di malattia parodontale, i trattamenti di ablazione del tartaro o detartrasi, possono essere sufficienti a garantire la guarigione o il controllo; nei casi più gravi è necessario ricorrere a un trattamento chirurgico.
Le terapie del dentista possono essere non chirurgiche, come
levigatura radicolare e curettage. Questi trattamenti possono essere
sufficienti a garantirne la guarigione.
Nei casi più gravi è
necessario ricorrere a un trattamento chirurgico, come chirurgia
gengivale resettiva o conservativa, chirurgia ossea ricostruttiva, con
innesti ossei, o con tecnica rigenerativa (membrane riassorbibili e non
riassorbibili).
L’otturazione è quella procedura terapeutica che il dentista esegue
per riparare un dente cariato o eroso.
In pratica è la ricostruzione
o ripristino dell’anatomia del dente, previa rimozione del tessuto
cariato e protezione, con opportuni fondini e vernici, dell’integrità
del nervo del dente stesso.
Per cura canalare si intende la devitalizzazione di un dente o il
ritrattamento dei canali dentari, precedentemente devitalizzati, qualora
presentino patologie correlate.
Normalmente si esegue prima
un’anestesia, che evita qualunque dolore.
È meglio sostituire i denti mancanti con denti protesici – con impianti, con ponti, etc. – perché, diversamente, gli altri denti si inclinano verso gli spazi vuoti, creando spesso problemi di malocclusione e parodontali e all’articolazione della mandibola (ATM).
Né va trascurata la diminuzione dell’efficienza masticatoria (con possibili problemi gastrici e intestinali), possibili problemi nella deglutizione e nella fonazione e la negativa componente estetica e psicologica che, più frequentemente di quanto si creda, porta ad abitudini viziate e tic comportamentali.
Gli impianti si inseriscono con una procedura solitamente meno fastidiosa che l’estrazione di un dente.
Non si sente alcun dolore.
Il tempo di inserzione si riduce a 10/15 minuti per impianto, anche
se la seduta in totale dura di più, per le fasi di preparazione,
disinfezione, sterilizzazione, controllo radiografico, sutura e
controllo finale. Il massimo disagio consiste nel tenere aperta la
bocca.
In ogni momento, comunque, si possono fare delle pause di
riposo.
Si esegue una normale anestesia e poi, con uno specifico strumentario, si inserisce l’impianto nell’osso della mandibola o della mascella. Tutto viene eseguito con movimenti dolci e delicati.
Dopo l’intervento si prende un semplice antidolorifico (tipo il Moment) per evitare una leggera dolenzìa dovuta all’edema, ma posso certificare che la maggioranza dei pazienti mi riferisce di non aver nemmeno avuto bisogno di prenderlo.
L’osteoporosi, se non è grave e localizzata nella sede prevista per l’impianto, non è una controindicazione assoluta. Si deve valutare caso per caso con gli opportuni esami e radiografie.
Le alternative agli impianti sono i ponti protesici fissi (ne esistono di vari tipi), se ci sono elementi pilastro a cui ancorarsi, o soluzioni rimovibili, tipo gli scheletrati, i parziali e altro.
L’estrazione di un dente è inevitabile quando, in presenza di una patologia correlata, non ci sono le condizioni per una terapia conservativa/endodontica e quando la permanenza del dente in bocca può provocare ulteriori lesioni ai denti vicini o all’osso circostante.
Un dente ben devitalizzato (mentre molti denti presentano
devitalizzazioni non idonee) ha una probabilità di durata comparabile ad
un dente vitale.
Però, divenendo disidratato, diventa più fragile, e
quindi – solitamente – è preferibile coprirlo con una corona che,
avvolgendolo, lo protegge da possibili fratture.
Il granuloma è una lesione di una zona circostante l’apice della
radice o la parete di una radice o la biforcazione di due/tre radici,
provocata da una infezione e infiammazione cronica del nervo e del
periapice del dente (a sua volta, determinata usualmente dai batteri
della placca), che dà come esito una erosione e un riassorbimento
dell’osso della zona interessata.
È una lesione cronica e non
guarisce spontaneamente, ma richiede una terapia specifica o
l’estrazione del dente.
Perché molteplici ricerche universitarie hanno comprovato che chi ha i denti storti o affollati ha una frequenza significativamente maggiore di carie e periodontite.
Inoltre sono statisticamente più frequenti i problemi d’igiene orale, con difficoltà di detersione e autodetersione, i problemi dell’articolazione temporo-mandibolare, dolori muscolari (anche in zone lontano dai denti: dorso e gambe), etc.
Né va trascurata – come già indicato per i denti mancanti - la diminuzione dell’efficienza masticatoria (con possibili problemi gastrici e intestinali), possibili problemi nella deglutizione e nella fonazione e la negativa componente estetica e psicologica che, più frequentemente di quanto si creda, può portare ad abitudini viziate e tic comportamentali.
In molti casi può essere opportuno devitalizzare i denti protesizzati (cioè ricoperti da corone protesiche), perché riducendoli per coprirli con le corone, possono diventare sensibili agli sbalzi termici o agli stimoli meccanici.
Come detto prima, un dente ben devitalizzato (invece molti denti
presentano devitalizzazioni non idonee) ha una probabilità di durata
comparabile ad un dente vitale.
Però, divenendo disidratato, diventa
più fragile, e quindi – solitamente – per farlo durare a lungo, è
preferibile coprirlo con una corona che, avvolgendolo, lo protegge da
possibili fratture.
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